Intervista a Vito Roberto Tisci, Presidente del Settore Giovanile e Scolastico della FIGC

Incontriamo Roberto Tisci, Presidente del Settore Giovanile e Scolastico della FIGC, per discutere il futuro del calcio giovanile in Italia

Incontriamo Vito Roberto Tisci, Presidente del Settore Giovanile e Scolastico della FIGC, per discutere il futuro del calcio giovanile in Italia. Con un’importante carriera dedicata alla promozione e allo sviluppo dei giovani giocatori e talenti, Tisci condivide in questa intervista la sua visione, le sfide affrontate e le strategie per elevare il livello del calcio giovanile italiano.

Quali valori considera fondamentali nel formare giovani calciatori il Settore Giovanile della FIGC?

Il calcio giovanile italiano ha una grande tradizione, la più antica d’Europa, considerato che nasce come organizzazione dedicata della Federazione Italiana Giuoco Calcio nel lontano 1947. L’Italia del dopoguerra, anche nello sport, seppe ripartire con grande slancio dal suo territorio e dai suoi giovani, dando loro fiducia e investendo su una struttura dedicata alla loro formazione. Nasce così il Settore Giovanile e Scolastico, come struttura educativa e di servizio che, attraverso il calcio, intende sviluppare atleti ma anche persone, uomini e donne in grado di contribuire alla propria comunità. Questi valori sono rimasti ben saldi nel codice genetico del nostro settore ed è per questo che, quando parliamo di calcio giovanile, parliamo di calcio formativo, di calcio inclusivo e di calcio sociale.

Quali iniziative specifiche sono state adottate dal Settore Giovanile della FIGC per promuovere l’inclusione e la diversità?

La FIGC è stata uno dei primi paesi membri della UEFA a firmare la “UEFA Grassroots Charter”, ovvero la convenzione del calcio di base che ha consentito nel tempo all’Europa di divenire il primo continente in termini di partecipazione e di risultati sportivi. Inclusione e diversità sono alcuni degli elementi che caratterizzano l’impegno del Settore Giovanile e Scolastico nel promuovere da sempre una base ampia e allargata a tutti e a tutte senza alcuna distinzione di qualsiasi genere. È questa la più grande caratteristica del nostro calcio giovanile, che promuove l’apertura e l’inclusione evitando ogni forma di selezione precoce. L’attività calcistica giovanile della FIGC viene regolata tenendo presente quanto riportato dalla Carta dei Diritti dei ragazzi allo sport dell’O.N.U. che corrisponde, nella sua enunciazione, alle norme con le quali viene organizzata l’attività dai 5 ai 16 anni da parte del Settore Giovanile e Scolastico. A questi diritti corrispondono altrettanti doveri da parte degli adulti che devono garantire il Diritto di divertirsi e giocare, il Diritto di fare sport e soprattutto il diritto di non essere un campione. Nel quotidiano quanto detto sarebbe vano senza il monitoraggio costante sul territorio da parte dei tecnici SGS e il loro supporto alle società che non vengono mai lasciate sole nell’affrontare la gestione. Uno specifico presidio per la Tutela dei Minori sia a livello nazionale che a livello regionale è istituito per occuparsi di ogni tematica che abbia ad oggetto la partecipazione dei bambini e delle bambine, la loro sicurezza e la qualità dell’ambiente nel quale si trovano, mentre un sito internet dedicato

www.figc-tutelaminori.it riporta le policy, gli strumenti e gli aggiornamenti necessari per lavorare e migliorarsi anche dal punto di vista formativo nella gestione dei minorenni.

Quali strategie sono state implementate per garantire che i giovani atleti sviluppino non solo sul campo, ma anche come individui all’interno della società?

Più che di strategie, parlerei di filosofia che pone il bambino e la bambina al centro dei programmi formativi dei ragazzi, che vengono garantiti dall’adesione dei club al sistema di qualità promosso dal SGS. Abbiamo quattro diversi livelli di qualità che possono essere caratterizzati principalmente dall’ambiente di apprendimento che i club sono in grado di sviluppare attraverso il reclutamento di personale competente e qualificato, il rispetto delle linee guida metodologiche e delle regolamentazioni a tutela dei minori, lo sviluppo di progettualità integrative che promuovano l’apprendimento di competenze trasversali attraverso la pratica calcistica: dai workshop di formazione obbligatori per i livelli qualitativi più elevati su diverse tematiche all’adozione di veri e propri programmi in collaborazione con esperti di area psico-pedagogico.

Come si integra l’educazione scolastica con gli impegni sportivi nel programma del Settore Giovanile della FIGC?

Attraverso specifiche convenzioni che promuoviamo a livello territoriale con gli istituti scolastici di ogni ordine e grado. Nell’ultimo anno sono state più di 1.500 le scuole in ogni regione e provincia d’Italia che hanno iscritto le proprie classi ai programmi sportivo-didattici del Settore Giovanile e Scolastico, tra le quali anche le convenzioni di didattica integrata nei licei scientifici sportivi. Nelle scuole superiori, il supporto avviene soprattutto attraverso la promozione del progetto “Studente atleta di alto livello” previsto dal Ministero dell’Università e della Ricerca, al quale il nostro settore ha lavorato e che prevede l’adozione di un piano formativo personalizzato per gli studenti certificati dal nostro settore come atleti che necessitano, sulla base della oggettiva partecipazione ad attività sportive di interesse nazionale e particolarmente impegnative. Anche in questo caso, il SGS è il primo ente sportivo italiano come numero di atleti aderenti al progetto.

Quali sono le principali sfide nel mantenere un equilibrio tra competitività e sviluppo personale nei programmi giovanili?

Mantenere un equilibrio tra competitività e sviluppo personale nei programmi giovanili richiede attenzione alla formazione integrale degli atleti, garantendo un ambiente che promuova non solo le abilità sportive, ma anche la crescita individuale, i valori etici e le competenze sociali. È essenziale trovare il giusto mix tra competizione sana e un approccio olistico allo sviluppo giovanile. In tal senso, ritengo che sia opportuno considerare il giovane atleta nel suo complesso, senza limitarsi solo agli aspetti tecnici e fisici del gioco. Questo approccio coinvolge la cura della salute mentale, ma anche l’educazione, lo sviluppo caratteriale e le abilità relazionali, contribuendo a formare individui ben equilibrati oltre che atleti competitivi.

Ci sveli qualche curiosità… da piccolo era tifoso di una squadra in particolare?

Ho sempre guardato il calcio con uno sguardo innamorato; è uno sport che mi ha affascinato sin da piccolo. Sono nato ad Acquaviva delle Fonti, un paese della provincia di Bari, un posto che non ha mai avuto grandi squadre nelle categorie superiori, rimanendo sempre circoscritto nella sua zona comfort costituita dai campionati dilettantistici. Anche per questi motivi, sono cresciuto ammirando la squadra principale, quella del Bari, che per tanti anni ha disputato grandi stagioni in serie A e B. Come per tutti i ragazzi della mia epoca, i colori biancorossi mi hanno fatto diventare un grande tifoso della società del capoluogo, città che poi mi ha anche accolto lavorativamente parlando. Ho sempre seguito molto da vicino il Bari, andando allo stadio con una certa continuità. Oggi i numerosi impegni mi impediscono di essere vicino alla squadra come accadeva tanti anni fa, ma rimango sempre legato al club per il quale nutro un grande rispetto. Poi, i tifosi del Bari sono meravigliosi; è impossibile non rimanere colpiti dal sostegno del pubblico del “San Nicola”.

In che ruolo giocava da bambino, quale era il suo idolo e perché?

Sono stato portiere e me la cavavo anche discretamente. Ho giocato nella squadra giovanile della mia città, lo Scaj Acquaviva, fino alla maggiore età. Prima ancora, invece, ho iniziato a prendere confidenza con la porta giocando in oratorio con i miei più cari amici. La mia passione per questo ruolo è nata osservando l’eccezionale capacità di atleti come Dino Zoff e Sepp Maier negli anni ’70. La loro abilità nel proteggere la porta e gestire la pressione durante partite cruciali ha ispirato la mia scelta. La determinazione e la leadership di questi grandi portieri hanno alimentato il mio amore per questo ruolo così unico e speciale. E forse il carisma che ho ammirato in questi atleti, che si sono esibiti ad altissimi livelli, ha poi contribuito anche alla mia formazione professionale in ambito sportivo e dirigenziale.

Giovanni Scafoglio

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